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La mia battaglia: come l’ho scelta e come faccio a capire quando è il momento di fermarmi?

In questi anni, grazie alla mia battaglia, ho conosciuto molte persone che stanno cercando come me di cambiare qualcosa. Un luogo abbandonato, le proprie abitudini, un settore commerciale, l’universo.

… continuate a cercare di salvare quello che amate che sia una comunità, un’istituzione, un luogo naturale, una specie a rischio di estinzione e accontentatevi dei vostri piccoli successi”.

Questa frase contenuta in un articolo di Internazionale dal titolo Perché dobbiamo scegliere le nostre battaglie mi ha convinto ad iniziare una riflessione in realtà mi frulla nella testa da un po.

Com’è nata la mia battaglia

Le cose da cambiare sono molte, in tutti gli ambiti, ma è molto difficile incidere realmente soprattutto perché i mezzi a disposizione sono molto scarsi. Come ho scelto quindi il mio campo di battaglia?

Il 18 aprile 2007 scrivevo di getto un post in cui citavo un pensiero di Beppe Grillo, scritto sul suo blog qualche anno prima che, come accadde a molti in quegli anni, mi affascinò molto. Parte del testo era questo:

Belin!… Attraverso il blog ho conosciuto persone che pensavo scomparse, persone pulite, che scrivono “c…o” con i puntini-puntini. Persone che ogni giorno lavorano, crescono i loro figli, combattono la loro battaglia con grande dignità, con 800-900 euro di stipendio al mese. Non so come andrà a finire, cosa succederà, ma potrò (potremo) comunque dire che ne valeva la pena.

Questo pensiero mi fece venire voglia di conoscere persone speciali, persone che pensavo scomparse, persone pulite … solo più tardi mi sono accorto che quella voglia è parte di me e mi accompagna ancora oggi.

Erano i tempi del grande sogno di un web inteso come “strumento democratico nelle mani delle persone” dove le parole chiave erano cooperazione, servizi pubblici online, cultura libera e open source.

Anni di persone e di battaglie

Negli anni che vanno più o meno dal 2004 al 2014 il filo conduttore era la rete al servizio dell’impegno sociale (reale e concreto). Dal 2015 mi appassiono invece ai diversi aspetti della cittadinanza digitale.

Dall’associazione di genitori in cui persone si incontrano e si sostengono dopo un momento della vita particolarmente difficile ai gruppi organizzati che condividono buone pratiche di sostenibilità ambientale, passando per esperienze più piccole la rete era il filo conduttore delle mie iniziative.

Dopo diversi tentativi di mettere in piedi progetti sociali con internet “al centro” all’inizio del 2014 mi convinco a mettere in piedi qualcosa di mio. Pensato, realizzato e curato completamente dal nulla sulla base delle mie esperienze pregresse: Open Genova.

Ma dopo essere partiti con la piattaforma per la condivisione di idee e progetti ci si è resi conto quasi subito che per usare strumenti collaborativi online occorrono “competenze digitali” che la maggior parte delle persone non possiede.

Non sono mancate richieste di scendere in politica in prossimità di elezioni regionali e comunali che però ho sempre cortesemente declinato o richieste di scrivere articoli su giornali a cui ho detto invece si con piacere come questo pezzo sulla partecipazione online o questo sull’alfabetizzazione digitale.

Open Genova sta vincendo o perdendo?

Ormai da diversi anni sto cercando di cambiare qualcosa sul campo di battaglia che mi sono scelto. Se mi stai leggendo è molto probabile che tu sappia di cosa sto parlando.

Nel 2014 Genova riceve il premio e-Gov come prima città wiki d’Italia con la piattaforma collaborativa di Open Genova. 2015 si va in tutta la città con il Comune e con le associazioni no profit per fare divulgazione, Genova Digitale è primo progetto di questo tipo in Italia. 2016 si vince il crowdfunding per portare il free wifi alla Lanterna di Genova, uno dei pochi monumenti nazionali ad avere il free wifi.

Nel 2017 lascio la presidenza dell’associazione. Nasce Toorna insieme all’associazione tRiclico, parte Il Punto Genova Digitale e si fanno corsi di alfabetizzazione digitale che coinvolgono centinaia di persone. Dopo 7 anni Open Genova è ancora viva e vegeta ed ogni anno cresce un pò di più.

Quindi tutto bene? L’associazione “tiene” al ricambio generazionale, al logorio del tempo, alle avversità. Le donazioni arrivano, ma ad oggi non è possibile per esempio assumere una persona per fare quel lavoro di “segreteria” che tanto servirebbe. Ma quindi Open Genova sta vincendo o perdendo?

I progetti raccolgono adesioni dai soci, dalle istituzioni, da alcune aziende, da altri soggetti, ma non c’è ancora un reale impatto sui temi trattati e questo inizia a pesarmi.

Ancora domande sulla battaglia

A che serve impiegare le poche risorse a disposizione su progetti di partecipazione mediata dalla rete se poi a livello istituzionale le priorità sono altre oppure organizzare iniziative di divulgazione digitale potenzialmente scalabili sui servizi utili se il proprio comune è fermo a 15 anni prima? A che scopo portare avanti progetti di cultura libera se poi arriva “il monopolista di turno” che affossa il tuo lavoro? Ha ancora valore un approccio organizzativo sul modello delle community Open Source alle porte del 2020? L’internet dei big high tech può ancora dire la sua come “strumento democratico nelle mani delle persone”?

Queste domande non sono di poco conto, soprattutto per chi come me ha speso anni, spesso con grandi soddisfazioni personali, sulla battaglia del digitale come strumento per migliorare il vivere quotidiano.

Conclusioni

In questi anni però ho conosciuto tante persone con “la luce negli occhi” e con la voglia di migliorare un luogo abbandonato, le proprie abitudini, un settore commerciale, l’universo. Ho stretto la mano a ministri, ho parlato davanti a sindaci, assessori e persone di ogni età. Sono riuscito a progettare ambienti di cooperazione misti (online e dal vivo) in cui le persone hanno potuto indirizzare con profitto il proprio (poco) tempo a disposizione. Ho fatto cose che mi piacciono, che mi riescono bene e che mi gratificano.

Le mie battaglie le scelgo senza dubbio se ci posso trovare persone con la luce negli occhi o se c’è cooperazione. Se poi dentro riesco a trovarci anche qualche goccia di internet come “strumento democratico nelle mani delle persone”, beh, sono nel mio. Ma allora quando è veramente il momento di fermarsi?

Possono cambiare i contesti e le persone o ci si può prendere una pausa, ma se una battaglia contiene almeno alcuni degli elementi che ho descritto, prima o poi la voglia di mettersi in gioco ritorna, magari con modalità diverse. Perché quello che appassiona, almeno per me è così, semplicemente fa stare bene!

E tu come scegli le tue battaglie? Sai riconoscere quand’è il momento di fermarti? C’hai mai pensato?

Enrico Alletto

Lavoro in una multinazionale delle telecomunicazioni. Negli anni ho progettato e coordinato diverse iniziative pro bono con associazioni e pubbliche amministrazioni sui temi della cittadinanza e dell’inclusione digitale. Ho contribuito ai tavoli dell’open government italiano su temi come partecipazione, open data e cittadinanza digitale. Credo nel lavoro di squadra e faccio il tifo per una scuola e una pubblica amministrazione più moderna e vicina ai cittadini! Non mi piacciono i toni aspri e le conversazioni online che non rispettano l’interlocutore.

2 commenti

  1. Giancarlo

    8th Dic 2019 - 16:54

    E’ da almeno tre anni che sono socio di OG, in questi anni ho cercato di portare anche io nel mio piccolo un pò di quella luce negli occhi.
    Quella luce negli occhi che non è altro che il riflesso della tua luce negli occhi non può che accompagnarti per tutta la vita, da qui la mia risposta alla tua domanda:
    Ci sarà sempre un altro giorno per fermarsi, non oggi.

  2. Enrico Alletto

    11th Dic 2019 - 08:27

    Giancarlo grazie per il commento e soprattutto grazie per averlo scritto direttamente sul blog, pratica questa ormai quasi completamente perduta 😉

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